domenica 27 aprile 2014

Piero Deggiovanni "Dove va la Computer Art?"

Lino Strangis, Pensiero volante non identificato, 2014


Dove va la Computer Art?

E dove deve andare? Deve essere, se proprio deve dovere.
[…]Ma le risposte sono tuttora incerte, ambigue; anzi infinìgue.
Gianni Toti,  in “Poetronike”, n° 3, 1990

  Come lo stretto pertugio che divide/unisce le ampolle di una clessidra, l’opera complessiva di Lino Strangis condensa e rilancia decenni di sperimentazione audio-visiva dalla nascita del cinema alle sue contaminazioni con la pittura confluite poi nell’animazione. E’ storia nota, ma è bene ricapitolarne i punti salienti per evidenziarne l’evoluzione che supporta la ricerca di Strangis, fino al superamento del concetto stesso di animazione, per riportarla alle sue ragioni primeve, ovvero ad un cinema puro e contaminato al contempo. Puro per vocazione integrante forma, movimento e suono, contaminato per l’espansione verso ambiti linguistici contigui, dalla video arte, al video teatro, alla video danza. Rapidamente ricordiamo le esperienze pitto-cinetiche di Len Lye riprese da Norman McLaren, gli oggetti-forma di Hans Richter, la sinestesia tra forma, colore e suono di Oskar Fischinger. Pittura e cinema, ovvero forma, colore, e movimento a cui il suono dà ritmo ed equilibrio, definiscono da subito l’essenza delle immagini in movimento, ma è con l’avvento delle nuove tecnologie elettroniche, negli anni Sessanta, ed il passaggio dall’analogico al digitale, che la sperimentazione audio-visiva aumenta grandemente le possibilità percettive; e sarà la volta di autori come Jordan Belson o John e James Whitney, agli albori di ciò che verrà chiamata, con una certa semplificazione nominale, Computer Art, riferendosi semplicemente al dispositivo ed alle sue potenzialità grafiche, dimenticando, forse, che l’enorme differenza tra un prodotto analogico ed uno digitale, al di là dei mezzi adottati, è la luce: i supporti analogici la assorbono, quelli digitali la emanano, decretandone la qualità percettiva di fondo.  E qui, a mio avviso, risiede la grande differenza paradigmatica nella costellazione eidetica di forma, colore, movimento e suono, tra i dispositivi e i supporti; implicando con ciò una sostanziale parità tra analogico e digitale sul piano della legittimazione artistica, ma una irriducibile differenza sul piano della resa percettiva. Benché l’avvento del digitale aumenti le possibilità dell’invenzione, esso non cambia la sostanza della percezione ottica.  Potremmo a questo punto riferirci all’effetto dell’uso di sostanze allucinogene, notoriamente utilizzate da molti cineasti sperimentali nella California degli anni Sessanta, per poter illuderci che l’utilizzo di questa tecnologia psicotropa, con effetti potenzianti le percezioni naturali, possa avvicinarsi al caleidoscopio ancora meccanico di Fischinger o al “mandala” psicotropo di Belson sfondando diverse porte percettive, in realtà il loro contributo non riguarda tanto la re-definizione formale degli eventi percepiti, quanto il loro senso; e qui Gene Youngblood (1970) è piuttosto chiaro: trattasi di andare oltre la percezione per raggiungere, attraverso un gioco simbolico, una consapevolezza cosmica dell’essenza umana, comunicare senso e significato universali.

   Queste considerazioni preliminari al commento dell’opera di Lino Strangis, trovano la propria giustificazione nelle caratteristiche di fondo dell’ultimo lavoro dell’artista: Pensiero volante non identificato. In esso, infatti, si raccolgono e condensano, per rilanciarsi in nuove ed inusitate interazioni e connessioni, i paradigmi dell’audio-visione a cui abbiamo accennato e la sfera simbolica dove agiscono in background gli archetipi dell’inconscio collettivo, tema classico di molti filmmaker d’oltreoceano.  Raccolte le ascendenze e le assonanze, è tempo di identificare la peculiarità del video di Strangis e le sue divaricazioni da ciò che con un ossimoro potremmo definire la “tradizione” avanguardista. Dunque Pensiero volante non identificato non è ascrivibile nell’ambito dell’animazione, non è semplice opera grafica nel contesto della defunta Computer Art, non è nemmeno – o non soltanto – un’opera di video arte o video teatro, bensì opera aperta, o come direbbe Gianni Toti è opera infinìgua, ovvero infinitamente aperta al divenire e sufficientemente ambigua da non essere ascrivibile in un ambito certo e definitivo. Opera cognitiva quindi, con il suo carico noetico, che non riconduce al solito misticismo orientale di tanta produzione psichedelica, quanto ad una certa lucidità scientifica e sufficientemente astratta da utilizzare il gioco di simboli come tags o interfacce grafiche, allusive ad ulteriori considerazioni filosofiche. Un pensiero volante, appunto, instabile e lanciato come spirito guida attraverso il continuum spazio temporale del cosmo, secondo un ritmo e un suono, che danno ordine, cadenza e struttura al volo noetico che conduce all’uomo, alla sua essenza, rappresentata centralmente nel video di Strangis. Ma a quale umanità o a quale stadio della sua evoluzione coscienziale e cognitiva allude l’autore? Notiamo che nessuna distopia cyber o Post Human disturba il volo, il quale sembra piuttosto foriero di una nuova proposizione universale. Sembra cioè indicare ed auspicare, un percorso evolutivo che conduca a ciò che Teilhard de Chardin indicava come superamento dell’umanesimo classico in una nuova forma di sincretismo teologico-scientifico che maggiormente si avvicini alle necessità dello spirito, libero e non identificabile se non nella sovrastruttura del possibile.

Piero Deggiovanni



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